dott.ssa Elena Ercolani – Psicologa
Il primo attacco di panico si manifesta quasi sempre durante un periodo in cui stress o tensione sono elevati, anche se non percepiti dal soggetto.
Un attacco di panico si ha quando una persona diventa in breve tempo molto spaventata o molto ansiosa o molto a disagio in una situazione in cui fino a prima non provava malessere.
Dato che si tratta di un’esperienza strana, inattesa, intensa, molto spiacevole, spesso accompagnata dalla paura di perdere il controllo, svenire, morire o impazzire, le persone iniziano ad evitare le situazioni in cui potrebbe essere pericoloso o fastidioso avere un attacco.
La causa reale dell’attacco di panico è l’ansia: tuttavia, le persona attribuiscono erroneamente la causa alla situazione i cui l’attacco è iniziato.
Successivamente poi, attraverso un fenomeno chiamato generalizzazione, le situazioni evitate aumentano, comprendendo “accorgimenti” e strategie per gestire le situazioni (bere acqua, telefonare, cercare di distrarsi..) che a lungo termine possono diventare controproducenti.
CHE COS’È L’ANSIA
L’ansia è un fenomeno fisiologico, una reazione utile per far fronte ai pericoli. Se stai attraversando la strada e una macchina sbuca improvvisamente a forte velocità a pochi metri da te, probabilmente ti spaventerai e correrai sul marciapiede.
Ancora prima di iniziare a correre il cervello ha avvertito il pericolo e ha iniziato ad attivare il sistema nervoso autonomo, rilasciando adrenalina.
Si tratta della risposta automatica di attacco e fuga (Fight or Flight) che include tutta una serie di componenti fisiologiche utili per reagire in maniera efficiente al pericolo:
– il respiro si fa più frequente (per permettere una maggiore quantità di ossigeno a disposizione per i muscoli)
– il ritmo cardiaco e la pressione aumentano (per permettere al sangue di raggiungere i muscoli più velocemente)
– il sangue è dirottato ai grandi muscoli degli arti inferiori (per cui meno sangue arriva ai muscoli interni e al volto)
– i muscoli si preparano a contrarsi
– si suda (per contrastare il surriscaldamento dovuto all’attivazione)
– la mente si concentra unicamente sul pericolo e come mettersi in salvo
– la digestione si ferma, la bocca diventa secca. Il cibo si ferma dove si trova (provocando nausea o nodo allo stomaco)
La risposta di attacco o fuga era particolarmente utile nelle condizioni di vita dei nostri antenati, piene di gravi pericoli fisici e per questo fa ancora parte dei nostri meccanismi di difesa, ma porta seri problemi quando si attiva troppo facilmente o nel momento sbagliato. Oggi, infatti, le tigri dai denti a sciabola non sono più una minaccia per la nostra sopravvivenza fisica. Tuttavia, ci sono moltissimi stressor che possono aumentare il livello di stress e tensione nel nostro organismo.
Inoltre, come un allarme troppo sensibile, che suona al passaggio di un insetto, un sistema d’allarme fisiologico troppo sensibile attiva la risposta di attacco fuga quando non ce n’è bisogno e produce “ansia” in situazioni in cui non sono presenti pericoli.
Per esempio, una persona che inizia a preoccuparsi mentre si trova in coda in macchina, se ha la tendenza ad attivare troppo facilmente una risposta di allarme, può cominciare a sentire la testa leggera, ad avere vertigini ed avvertire un senso di irrealtà; potrebbe persino pensare “perderò la testa, andrò fuori controllo e comincerò ad urlare, andrò a sbattere con la macchina”. A questo punto la persona potrebbe uscire dalla coda facendo inversione di marcia, o trovare il modo piu rapido per evitare la situazione.
Quindi, l’attacco di panico è una risposta di attacco o fuga attivata in un momento sbagliato, in assenza di un vero pericolo esterno. È inoltre presente la sovrastima del pericolo e la sottostima della capacità di fronteggiarlo, la realtà esterna viene vissuta come estremamente pericolosa e il proprio sé come estremamente vulnerabile.
La terapia cognitivo-comportamentale rappresenta un approccio elettivo per il trattamento del disturbo di panico. Gli elementi di forza sono l’elaborazione e l’impiego di protocolli di intervento standardizzati, nonché la presenza in letteratura di studi che ne documentano la validità e l’efficacia (APA, 2014).